Negli ultimi anni del XIX secolo, gli imprenditori britannici e statunitensi, con i loro caratteristici basettoni, facevano soldi a palate commerciando oppio, tè, spezie, seta e altre merci esotiche dentro e fuori la Cina. Questi ricchi uomini d’affari desideravano ardentemente ostentare il loro nuovo benessere, e quale modo migliore se non tramite la raffinatezza della sartoria?
Gli stilisti londinesi fiutarono un potenziale guadagno, tanto da essere disposti ad affrontare un faticoso viaggio in mare di quattro mesi, direzione oriente, per riuscire a soddisfare questa nuova clientela. All’approdo in Cina, gli astuti sarti espatriati assunsero degli assistenti locali a cui insegnarono le complessità dei tagli e della costruzione dell’abbigliamento occidentale. Man mano che gli apprendisti cinesi diventavano sempre più abili, molti abbandonarono i loro datori di lavoro stranieri per mettersi in proprio.
Negli anni ‘20, a Shanghai, si era sviluppato un panorama sartoriale altamente sofisticato, dallo stile tutto suo, ispirato alla sartoria britannica, continentale e, dopo l’afflusso di talenti in seguito alla rivoluzione bolscevica del 1917, anche russa. È in questo contesto che il giovane Ascot Chang si è fatto le ossa come sarto.
“Mio padre arrivò a Shanghai dalla Cina rurale negli anni ‘30” spiega Tony Chang, successore dell’eponimo fondatore, che gestisce oggi l’attività insieme a suo figlio, Justin. “Ai tempi, le tecniche sartoriali locali erano molto mature, all’altezza di Londra o Parigi. È a quel punto che mio padre imparò l’arte della camiceria”.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in Cina scoppiò un conflitto civile che portò alla Rivoluzione Comunista del 1949. “L’economia era allo sbaraglio”, spiega Tony, “ma mio padre, appena sposato e con un figlio piccolo, aveva necessariamente bisogno di sostenere la sua famiglia. Così si trasferì da solo a Hong Kong, andò a vivere da uno zio, anche lui sarto di Shanghai. È allora che iniziò a realizzare camicie, andando da un ufficio all’altro a far visita ai clienti, alcuni dei quali erano magnati che conosceva già da Shanghai”.
Nel 1953, Ascot aveva accumulato a sufficienza per poter aprire un negozio tutto suo, in Kimberley Road a Tsim Sha Tsui, Kowloon, sulla terraferma di Hong Kong. “In quei giorni il settore stava esplodendo”, racconta Tony, “e in Kimberley Road erano tantissime le sartorie, ma mio padre era l’unico a produrre camicie. Perciò gli altri atelier indirizzavano verso di lui i clienti che ne volevano una”. Gli affari andavano talmente bene che dieci anni dopo Ascot ebbe l’opportunità di aprire un retailer presso il lussuoso Peninsula Hotel.
Tony racconta che suo padre si conquistò una fedele clientela che apprezzava il “modo molto inglese” in cui Ascot Chang confezionava le sue camicie, pur applicando prezzi notevolmente inferiori a quelli praticati a Jermyn Street negli anni ‘60 e ‘70. “In quei giorni, all’epoca in cui sono entrato a far parte dell’azienda, la nostra reputazione si basava sulla produzione di camicie di qualità eccellente a un prezzo davvero ragionevole”, spiega.
Ascot fu un pioniere nell’offrire i suoi servizi alle sfilate negli Stati Uniti, arrivando in aereo per prendere le misure ai clienti e spedendo le loro camicie da Hong Kong. “Quando andavamo a New York, i signori di Wall Street venivano da noi e nel giro di pochi minuti ordinavano da sei a dieci camicie; questo perché uno dei nostri capi su misura costava meno di quelli che potevano trovare ai grandi magazzini”, ricorda Tony.
Non è più questo il caso, e sebbene, come Tony sottolinea, i prezzi di Ascot Chang rimangono competitivi, il loro punto di forza oggi è la qualità. “Al momento direi che i nostri clienti si rivolgono a noi perché si fidano del nostro nome, della qualità della struttura e della vestibilità”, dichiara. “Abbiamo una clientela molto esigente, e siamo in grado di soddisfarla. È così che abbiamo coltivato questo business”.
Justin Chang aggiunge che per lui e suo padre è fondamentale mantenere alta l’attenzione al dettaglio che ha portato avanti la reputazione di Ascot Chang. “Indubbiamente è un’enorme responsabilità mantenere costantemente questi livelli di qualità, soprattutto per quanto riguarda le metodologie di confezionamento delle camicie”, continua Justin. “Dobbiamo avere 21 punti per pollice, e cuciture alla francese. Dobbiamo riporre molta cura nell’esecuzione del taglio in modo che righe e quadri combacino quanto più perfettamente possibile. Sono tutti elementi di una camicia su misura di grande qualità”.
Nel portare avanti il retaggio di suo nonno e del suo nome, Justin dice: “Dobbiamo assicurarci di salvaguardare questi standard. E poi, in un certo senso, migliorare ancora su certi aspetti. Ad esempio in termini di vestibilità, c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare. Le corporature sono cambiate molto negli ultimi 50 anni, a riflesso delle nuove abitudini. Ora si va molto più spesso in palestra, il fisico si evolve e noi dobbiamo evolverci di conseguenza”.
Un camiciaio deve tenere il passo con i tempi, il che oggi significa confezionare camicie che possano essere indossate senza cravatta ed esplorare nuovi stili. “Sin dagli inizi della nostra collaborazione con i ragazzi di The Armoury, otto o nove anni fa, i capi ibridi come giacche-camicia e altri prodotti più casual si sono diffusi in maniera esponenziale anno dopo anno”, dice Justin, “e non fanno altro che aumentare ancora di più da dopo il COVID, con il lavoro da casa e tutto il resto”.
Ciononostante, per quanto le cose possano cambiare, non si può rinunciare a una classica camicia bianca, secondo Justin. “Quei tessuti di base bianchi, popeline e twill fini, che non hanno troppa lucentezza, non mancano mai nella nostra gamma”, dice.
A tal proposito, Justin spiega: “Due dei nostri prodotti best-seller sono i tessuti Silverline di Thomas Mason, per la loro compostezza e resistenza nel tempo. I clienti ci dicono che, lavaggio dopo lavaggio, la camicia non fa che diventare sempre più morbida. Ecco perché non abbandonano mai questi tessuti, si rifiutano di rinunciarvi”.
Tony afferma che, man mano che i clienti apprezzano la differenza che può fare un tessuto di qualità, iniziano naturalmente a rinnovarsi. “Una volta trovato il fitting giusto, da un Thomas Mason 100, i clienti potrebbero voler provare la Silver o la Goldline. Quando scoprono questi tessuti d’eccellenza, non riescono più farne a meno ed ecco quindi che continuano a tornare. Non dobbiamo nemmeno incoraggiarli”, confida.
“So per esperienza personale che la differenza si sente. La prima volta che ho provato una Goldline Thomas Mason 140, era così bella, morbida e avvolgente, e allo stesso tempo corposa”, ricorda Tony. “Una volta provato un tessuto come quello non si torna più indietro”.
Foto di: Tory Ho
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