Il Grande Schermo
Lunga vita a Il Gattopardo
Di Charlie Thomas
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Il Gattopardo potrebbe essere considerato il miglior film che abbiate mai visto: uno dei massimi capolavori del cinema, un film epico tra i cinque preferiti addirittura da Martin Scorsese, paragonabile solo a pellicole del calibro de Il Padrino e Via col Vento. Diretto da Luchino Visconti, adattato dall’omonimo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, è interpretato da un cast stellare che comprende Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale nel pieno della loro giovinezza. Già solo questo rappresenta un ottimo motivo per vederlo.

 

La storia segue le vicende di un principe siculo (Lancaster) che cerca di mantenere il grado di nobiltà della propria famiglia durante il Risorgimento, la rivoluzione del XIX secolo che aveva come obiettivo l’unione dello stato italiano. Grazie alle atmosfere evocate dalla colonna sonora, alla meraviglia della fotografia, sempre immersa nel sole, e alle battaglie epiche e su vasta scala, Il Gattopardo è seducentemente nostalgico. E poi, come non parlare dei costumi.

Guardando i fotogrammi del film, chiunque potrebbe scambiarli per dipinti realisti della Sicilia della seconda metà dell’800. Visconti è noto per la sua attenzione al dettaglio. Anche il seppur minimo difetto sarebbe stato ritenuto un fallimento. E si dà il caso che il suo costumista fosse dello stesso pensiero. Candidato per cinque volte agli Oscar, Piero Tosi era senza ombra di dubbio l’unico a poter assumere tale ruolo, soprattutto per il suo ineluttabile desiderio di fedeltà nei confronti dell’epoca.

 

Eppure, Visconti alzò ancora di più l’asticella, “rinchiudendo letteralmente Tosi in una stanza con istruzioni precise per produrre i diversi modelli destinati a ciascun personaggio entro la fine di ogni giornata”, secondo quanto raccontato da Hamish Bowles. I due svilupparono una vera ossessione per tessuti e tagli, tanto da sacrificare costumi storici per recuperarne orli e bottoni e impiegare addirittura degli artigiani per filare nuovi tessuti da zero. Ma non si limitarono a questo. Nel 2006 il New York Times raccontò che “le camicie rosse indossate dai soldati di Garibaldi nella battaglia per Palermo furono immerse nel tè, lasciate al sole, sotterrate, re-imbevute, esposte di nuovo al sole e ricoperte ancora di terra per ottenere un effetto d’usura ancora più verosimile.” È risaputo, poi, che i corsetti portati da Claudia Cardinale erano così stretti che non riusciva a sedersi tra una ripresa e l’altra.

Anche la sartoria dell’epoca era ineccepibile. Nel 1860, periodo in cui è ambientato il film, l’abito a tre pezzi era l’outfit comune per gli uomini delle classi medio-alte. Precursore del moderno abito da giorno, questo look formale era costituito da una redingote nera, un gilet e dei pantaloni grigi a contrasto, portati a vita alta per accentuare la silhouette affusolata e a clessidra. Ma cosa possiamo imparare da una moda più che antiquata per gli standard del giorno d’oggi? È il modo in cui i personaggi portavano i loro abiti l’aspetto più interessante.

 

Proprio come il James Bond di Sean Connery portava abiti su misura come fossero una seconda pelle, il Don Fabrizio di Lancaster indossa i suoi vestiti con imponente sicurezza. Il suo fisico possente viene esaltato dalla redingote aderente alla sua figura e il colletto delle sue camicie gli incornicia perfettamente il viso, consentendogli di muoversi con grazia ed eleganza. È pur sempre un felino, in fin dei conti. Ricordatevene, quando valuterete il look per il vostro prossimo impegno formale. Al giorno d’oggi è raro che si richieda una cravatta bianca, o persino nera, ma quando l’occasione lo vuole, portarla con sicurezza vi farà fare un figurone.

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