La stoffa giusta
Crane Brothers: La Dolce Vita… dall’altra parte del mondo
Di Christian Barker
torna agli articoli

Alla fine del XX secolo, l’abbigliamento da uomo è stato conquistato da una nuova ondata di sarti britannici. “A quei tempi, a fine anni ‘90, avevamo case come Oswald Boateng, Richard James, Kilgour by Carlo Brandelli, che erano i marchi dominanti”, racconta Murray Crane, fondatore di Crane Brothers, azienda neozelandese leader nel settore della moda maschile. “Quando abbiamo iniziato nel 1999, siamo stati in larga parte influenzati dal look moderno di Savile Row, molto elegante e strutturato”.

 

Nel giro di dieci anni, tuttavia, le silhouette affilate e le palette sgargianti dell’era della “Cool Britannia” stavano lasciando il posto a colori più tenui, a tessuti che rinunciavano alla lucentezza in favore di una texture ricca e a una costruzione più simile a un cardigan che a un rigido abito reggimentale. “Sono sempre stato attratto dall’estetica inglese”, rivela Crane. “Ma quando abbiamo iniziato a intravedere quel gusto italiano emergere nella sartoria, portando con sé questa sensazione più morbida, la spalla napoletana e così via, tutto ha preso senso”.

La Nuova Zelanda, dove la Crane Brothers esercita il suo mestiere, non è nota per la sua puntigliosa formalità. “É un luogo molto casual”, spiega Murray. “Abbiamo sempre fatto fatica a far accettare agli uomini di indossare la tradizionale giacca e cravatta. Così, quando lo stile e la costruzione destrutturata di stampo italiano si sono inseriti nel mix, è stato come scoprire ‘l’ingrediente segreto’ della ricetta”, dice Murray; quell’elemento che avrebbe elevato la sartoria tra i clienti Kiwi. “Oggi, quel tocco italiano è lo stile che tutti desiderano. Tutto ruota attorno a uno stile di vita elegante ma rilassato. È una questione di comfort, facilità di manutenzione, ma di aspetto sempre impeccabile”.

 

Tuttalpiù che, dopo un lungo periodo in cui ci si era abituati a lavorare da casa (non da ultimo in NZ, dove è stato attuato uno dei lockdown più rigidi al mondo), non esiste più una distinzione netta tra abbigliamento professionale e tempo libero. “Si era soliti avere un guardaroba per il weekend e uno per il lavoro. Ora ne abbiamo uno adatto a qualsiasi giornata”, confida Murray. “Il lunedì mattina puoi indossare quello che metteresti per uscire a cena un sabato sera. Vai al lavoro e non senti più il bisogno di tornare a casa a cambiarti prima di trovarti con gli amici al pub. È finito quel tempo”.

Non tutti però accolgono con entusiasmo questa perdita delle vecchie abitudini. “Per molti uomini che rivestono ruoli tradizionali nel settore bancario, commerciale o legale è difficile abbandonare la certezza di una camicia bianca sotto un abito grigio o navy, perché, a prescindere da come vengono portati, sono sempre stati un abbinamento perfetto, indipendentemente dal loro senso del vestire”, fa notare Murray. “Il nuovo modo di vestire ha suscitato non poche ansie in tanti di loro. Si chiedono: ‘E adesso cosa mi metto?’”.

 

Non basta sfoggiare i vecchi abiti ma con la camicia sbottonata, senza cravatta? “Quello non trasmette l’idea di essere in ordine”, riconosce Murray. “Oggi, circa il 90% dei nostri clienti non porta più la cravatta”, dice. “Ma in passato, tanti abiti erano confezionati con un tessuto appositamente scelto perché si abbinasse alle cravatte di seta. Lo stesso per le camicie. Quel capo storico, la classica camicia da abito, è stato creato per andare a integrarsi con la cravatta. Magari la stoffa poteva essere un po’ lucida, un jacquard, e il colletto poteva essere tagliato, ma senza cravatta non sarebbe stato bene”.

 

Quello che Murray sta sottolineando qui è un allontanamento dalla classica camicia in stile Jermyn Street e dalla sua scollatura dandy, pensata per essere indossata con una cravatta annodata in modo impeccabile. Al contrario, gli uomini si stanno indirizzando verso colletti rigidi a punta e button-down, che si fanno notare attorno al collo ripiegandosi in maniera leggera ed elegante quando portati senza cravatta.

“Anche i tessuti stanno cambiando, e questo è un ambito in cui Thomas Mason è all’avanguardia nel rispondere alle nuove esigenze della camiceria”, afferma Murray. “Abbiamo lavorato a stretto contatto con loro sulla scelta dei tessuti, ordinando Oxford più morbidi, Oxford lavati, denim, chambray, flanelle, cotoni cardati morbidi come flanella, questo genere di cose. Stoffe che suscitino un po’ di interesse da sotto la giacca, magari grazie alla texture o a un motivo particolare, a righe per esempio, per compensare l’assenza della cravatta”.

 

Inoltre, molti clienti di Crane Brothers si stanno lanciando indossando giacche-camicia, o le cosiddette overshirt (non usiamo più quel termine orribile, “shacket”), al posto dei blazer e dei cappotti. “I capi di questo tipo stanno prendendo sempre più piede nella nostra attività”, dice. “E ancora una volta, questo è un settore in cui Thomas Mason è davvero forte se vediamo, per esempio, alcuni dei nuovi tessuti più pesanti che stanno producendo. Hanno davvero fatto quel passo in più, allontanandosi dal puro confezionamento di belle camicie tradizionali, sebbene facciano sempre parte della loro gamma, naturalmente”.

 

Perché, per quanto si parli di comfort über alles, un vero esperto sa che l’aspetto migliore si ottiene ancora grazie a un capo classico e ben confezionato. Specialmente se, durante i rigidi mesi di lockdown, ci si è consolati eccessivamente con cibo e bevande e non ci si è allenati quanto raccomandato delle autorità sanitarie. “Sappiamo tutti che un buon prodotto sartoriale può nascondere una moltitudine di peccatucci”, scherza Murray. “Ma quando indossi i pantaloni della tuta e una felpa? Non c’è via di scampo”.

Foto di: Jamie Bowering

Articoli Correlati