Entrare nell’ufficio di Paul Smith a Covent Garden è come varcare la soglia di un altro universo. Una sorta di prolungamento fisico del suo stesso brand. In qualsiasi direzione si guardi, l’occhio scopre qualcosa da ammirare, e non solo vestiti. Troviamo biciclette da corsa in fibra di carbonio, ceramiche, giocattoli e ninnoli, fotocamere vintage e tanta arte. Pile di libri e fotografie originali di David Bailey. Molti di questi oggetti sono stati inviati a Paul dai suoi fan, altri sono cimeli collezionati nel corso del tempo. Alcuni sono alquanto bizzarri, come un telefono fisso di Snoopy poggiato sopra un libro che parla di giacche da aviatore americane, a sua volta sopra un modellino Minichamps. Non è uno di quegli uffici in cui ci si siede pazientemente, in attesa che l’incontro giunga alla fine. Al contrario, ti invoglia a guardare, toccare e ammirare tutto quello che si vede. È come un museo, che incarna perfettamente la smisurata creatività del suo proprietario.
Non è nemmeno un posto che si può definire “costruito”. Questi sono tutti oggetti che sono stati collezionati nel corso degli anni. Dopotutto è facile dimenticare che il brand Paul Smith circola ormai da 54 anni. Paul ha aperto il suo primo negozio nel 1970 al numero 6 di Byard Lane, Nottingham. Uno spazio minuscolo, di soli tre metri quadrati. Ma non era che un assaggio di quello che sarebbe diventato in seguito. Vendeva marchi affini ai suoi gusti e accanto capi da lui stesso disegnati. Ma proponeva anche opere d’arte ed esponeva quadri di David Hockney. Smith ha sempre dimostrato una grande attrazione per il mondo artistico, ma troviamo chiare testimonianze del fatto che il suo primo vero amore fu il ciclismo. “Da ragazzo il mio sogno era quello di diventare un ciclista professionista e, dagli 11 o 12 anni fino ai 18, quella era la mia passione,” confida a Thomas Mason. “Un interesse per gli abiti probabilmente c’era già, ma non così forte”.
Ma quindi come si è arrivati a quel primo negozio? L’idea ha iniziato a prendere forma dopo una brutta caduta in bici. “Lavoravo con una ragazza della scuola d’arte che stava aprendo un negozio di abbigliamento. Ho lavorato per lei nella sua attività e poi ho avviato la mia. Si può dire che è stato per caso, un incidente di percorso. Anzi, un vero e proprio incidente, perché mi sono rotto diverse ossa.” Ma è stata anche una scelta pratica, un modo per racimolare un po’ di soldi e allo stesso tempo una modo per esprimersi.
“Avevo bisogno di guadagnarmi da vivere. Sono stato tanto fortunato da incontrare la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie, Pauline, che insegnava alla scuola d’arte di Nottingham. Aveva studiato moda al Royal College of Art di Londra, quindi era una stilista molto qualificata. Finì che andammo a vivere insieme e lei disse: “Perché non apri il tuo piccolo negozietto? Hai così tante idee ed energie!”. Così diventò la nostra fonte di guadagno. Ma anche nel mio primo shop avevo allestito una piccola galleria d’arte nel seminterrato. Vendevo ed esponevo i lavori di David Hockney e le fotografie di David Bailey. Ho venduto anche oggetti come ceramiche e così via sin dal primo giorno. E questo, credo, semplicemente perché sono attratto dalla creatività in tutte le sue forme”.
Ascoltando Paul è impossibile non sentirsi ispirati. Ha un modo di parlare allo stesso tempo eloquente ed espressivo, ma anche piacevolmente alla mano. Ci ha spiegato che il suo primo negozio è stato frutto di uno sforzo collettivo a cui ha lavorato con l’aiuto della sua compagna Pauline, ma anche dei brand e degli artisti che esponeva. Quest’idea di collaborazione è sempre stata il cuore del marchio Paul Smith. È stato uno dei primi, se non il primo stilista a spaziare in più campi, facendo leva su parallelismi tra settori e interessi diversi.
“Le collaborazioni nascono naturalmente. Mi vengono offerte tantissime possibilità di collaborazione e, solitamente, ne rifiuto la maggior parte perché non le sento giuste per me. Accetto, però, quelle che mi spaventano in quanto troppo complicate da realizzare oppure che in qualche modo riescono a mettermi alla prova. Ho lavorato con il marchio di fotocamere Leica, con Pinarello per le biciclette e con l’azienda automobilistica Mini. Sono state sfide piuttosto intriganti perché realtà diametralmente opposte al mondo dell’abbigliamento. Con gli abiti, prendi un paio di forbici, realizzi un modello, lo metti sul manichino e nel giro di un’ora inizi a vedere un’idea o una forma. Progettare un orologio, degli occhiali o un’auto, invece, può richiedere degli anni”.
La collaborazione è sempre stata al centro della relazione tra Paul Smith e Thomas Mason. Il loro rapporto è nato oltre 30 anni fa, quando iniziò a rivolgersi a Thomas Mason (acquisita dalla famiglia Albini negli anni ‘90) per realizzare numerose delle sue linee di camicie. Ma ancora più importante, ci rivela, è stata la sua amicizia con uno dei membri della famiglia, Silvio Albini, che ritiene essere stata davvero significativa per lui. “Lavoravo con Thomas Mason da prima del 1993”, racconta Smith. “In qualità di giovane stilista alle prime armi, speravo mi vendessero 10 metri, o meglio, iarde all’epoca. Ho cominciato a visitare tutte le fiere commerciali in Italia avendo occasione di conoscere tutti i migliori produttori di tessuti, e Thomas Mason è quello per cui ho sempre avuto un debole, specialmente perché Silvio Albini divenne un vero amico. Era un uomo estremamente interessante, un commerciante dedito al lavoro, che sapeva davvero il fatto il suo. Non faceva parte dell’era dell’hype. Si concentrava su tessuto, qualità, prezzo e servizio al cliente”.
Non appena termina di parlare, Paul estrae qualcosa dalla tasca. Si tratta di un pezzo di tessuto a righe, immediatamente riconoscibile. Il motivo colorato della sua “Artist Stripe” è il tratto distintivo del marchio, ed è realizzato proprio da Thomas Mason. Fa parte della collezione Downing ed è stata disegnata proprio seguendo le specifiche di Paul Smith. Spesso riveste polsini e orli di camicie e giacche per dare quel tocco iconico di colore.
“Questo è un tessuto Downing e ovviamente è di una qualità strepitosa, molto lucente” spiega. “È un 120/2 ed è uno dei nostri preferiti. Il trucco di essere una piccola azienda come la mia è che devi capire che, se lavori con Thomas Mason o con chiunque altro, è necessario offrire loro un progetto su cui garantire certi volumi, ed ecco che si ottengono dei privilegi come questo”.
Paul continua a raccontare, regalandoci una storia che rivela almeno in parte il motivo del suo successo e apprezzamento.
“Quando andavo alle fiere di settore, ero solito chiedere: ‘Vorrei 20 metri di questo e 20 di quello’ e quello era l’ordine per la mia produzione. Fingevo che fossero per dei campioni, ma in qualche modo me ne andavo con il mio bel bottino in mano perché facevo battute e ci divertivamo. Perciò, sai, la vita mi piace e tengo sempre i piedi per terra. Dico ‘grazie’ e ‘per favore’. Mi comporto bene e tratto le persone con gentilezza, pago i miei conti. Non sono una persona che si fa largo sgomitando in modo scorretto. Le relazioni si costruiscono grazie alle buone maniere e alle persone per bene”.
Al termine della nostra conversazione ho ancora un’ultima domanda per Paul. Gli chiedo se c’è qualcosa che non è riuscito a ottenere nella vita ma che vorrebbe ancora realizzare. Lui risponde semplicemente: “No, sto bene così”. Quel “così” racchiude sessant’anni di moda, e non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a uno dei personaggi più grandi che la Gran Bretagna abbia mai esportato.
Photography by Tom Griffiths
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