Se vi piace la moda maschile, il curriculum di Maurizio Donadi vi lascerà senza fiato! Ci diamo appuntamento su Zoom in una mite serata londinese di giugno: lui è seduto alla scrivania del suo ufficio di Los Angeles, appoggiato alla sedia, sprazzi di luce mattutina penetrano dalle tende alle sue spalle. Ha un aspetto imponente, quasi da film, come quello dei boss nei gangster movie. Ma non dovete farvi trarre in inganno, perché in realtà cela un’anima profondamente gentile.
Qualcosa con Il Padrino, però, Maurizio in comune ce l’ha: la sua carriera ha avuto un impatto significativo su numerosi marchi internazionali di abbigliamento maschile di alto profilo. Ha lavorato per Diesel, Armani, Ralph Lauren e Levi’s, ma anche come freelance in qualità di consulente creativo. Iniziamo la nostra chiacchierata proprio partendo dall’analisi del suo repertorio di brand stellari, ripercorrendo i suoi passi nell’industria del settore.
“Sono capitato nel mondo del fashion per caso”, dice appoggiandosi alla sedia. “Ero solo alla ricerca di un lavoro migliore di quello che avevo prima.” Donadi ha iniziato a lavorare come operaio siderurgico alla fine degli anni ’70, ma appena ha intravisto un’opportunità nel ruolo di magazziniere alla United Colors of Benetton, si è trasferito dall’Italia al flagship store di Parigi. “All’inizio, non la vedevo come una vera possibilità di carriera”, prosegue. “Poi, visto che la società si stava espandendo ovunque, mi sono fermato a Parigi per tre anni; quindi mi sono trasferito in Germania, a Nashville e Miami. Mi sono fatto strada fino a gestire diversi negozi e poi intere regioni, prima di essere sempre più coinvolto nel marketing e nel commercio del brand”.
Questo avanzamento di ruolo segna l’ascesa fulminea di Donadi nella moda maschile. Dopo i 13 anni trascorsi a “farsi le ossa” in Benetton, Maurizio è passato a Diesel come direttore commerciale degli Stati Uniti, un ruolo che descrive come “una favolosa compagna di lavoro” per cinque anni, un lavoro, appunto, a cui poteva “dare tutto”. Sono venuti poi sei anni come Vicepresidente Esecutivo di Armani, un ruolo che lo ha visto lavorare a stretto contatto con il grande stilista in persona. “È difficile descrivere il mio ruolo in Armani”, dice. “Potrei dire che era quello di concept designer: il mio compito era portare al signor Armani quante più buone idee possibili da esaminare e adattare al brand design.”
Dopo Armani, è arrivata la chiamata da Ralph Lauren. Donadi è stato responsabile, in qualità di concept designer alle dipendenze del sig. Lauren, dei marchi RRL e Rugby. Infine, dopo tre anni e mezzo da Ralph Lauren, Donadi si è trasferito da Levi’s in cerca di una nuova sfida. Ed è proprio quello che ha trovato: “Il lavoro consisteva nel dirigere una divisione con sede ad Amsterdam chiamata Levi’s XX; l’intento era quello di riposizionare Levi’s come leader del settore”.
È così che Donadi lascia intendere sottilmente di essere stato il promotore delle collezioni Levis Made & Crafted e Levi’s Vintage Clothing, ad oggi due dei brand secondari di maggior successo e più amati dell’azienda. Sotto la sua guida, la linea di abbigliamento vintage LVC ha portato Levi’s oltre i confini di “semplice” produttore di jeans e l’ha reso marchio “total-look”, che spazia dalle camicie alle giacche e altri capi essenziali di ispirazione vintage.
Oggi, però, dopo più di 30 anni alla ribalta nel fashion retail, gli interessi di Donadi sono cambiati totalmente. “Avevo raggiunto il punto di rottura”, mi confessa. “Avevo bisogno di una svolta: mi ero reso conto che l’industria della moda stava producendo in eccesso. Non c’è spazio per la sostenibilità in questo settore. Il mercato non è ancora maturo, c’è troppa confusione al riguardo.” La soluzione: uscire dai canali principali della vendita al dettaglio. “Una mattina mi sono svegliato e ho detto a mia moglie: “Forse dovremmo dimostrare che si può creare un brand anche senza produrre niente di nuovo!”
Ed eccoci qui, ai due progetti attivi di Donadi. Il primo è la realizzazione della sua visione di un brand di moda senza produrre nulla, Atelier & Repairs, che si concentra sulla ricerca e la trasformazione di capi di abbigliamento maschile vintage o deadstock (nuovi ma mai usati) in grandi quantità, di cui poi vengono venduti al dettaglio solo quelli recuperati e rivisitati. “Le rimanenze nel nostro settore sono tantissime”, spiega. “Ho iniziato a cercare articoli difettosi, avanzi di produzione delle vecchie stagioni dei marchi e deadstock vintage, selezionandoli, dividendoli in collezioni e poi personalizzandoli uno ad uno. Ci procureremo 500 paia di vecchi jeans 501® e li trasformeremo in 500 paia unici”. I curiosi possono dare un’occhiata all’offerta di Maurizio sul sito Atelier & Repairs.
Questa impresa è sostenuta dalla raccolta personale di Donadi di più di 11.000 pezzi conservati nel corso della sua carriera, che sta procedendo a documentare formalmente sotto il titolo di Transnomadica. “Non credo in un mondo diviso per paesi”, dice a proposito del nome Transnomadica, “un passaporto è un limite a ciò che possiamo fare insieme. Sono molto più interessato alla contaminazione tra culture diverse e a come questo si traduce nell’abbigliamento. Transnomadica non è un marchio, è una piattaforma dove vivere, esplorare questa idea”.
Questo approccio è evidente anche nei pantaloni cargo mimetici di Donadi, l’indumento che ha scelto di indossare per questa puntata di ‘Well Worn’. Come ci si può aspettare, dietro c’è una bella storia da raccontare: “Questi pantaloni appartengono alle uniformi mimetiche del primo Vietnam. È una mimetica woodland a base verde. Era il design dominante tra gli Americani, fino a quando è stata introdotta la mimetica Desert Storm, dov’è dominante il marrone. La si trova solo nelle uniformi del Vietnam dei primissimi anni”, spiega. “Ho trovato questo paio in un negozio vintage di New York e mi è piaciuto il fatto che fossero stati riparati. Riuscivo a sentire che erano davvero appartenuti a un soldato. Poi li ho portati a casa e ho fatto altre riparazioni e da allora non ho più smesso. Ho dovuto aggiustarli ulteriormente perché stavano cadendo a pezzi e da allora non ho fatto altro che ricucirli più e più volte.”
(Foto di Cody James)
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