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L’intramontabile tweed di Jeremy Hackett
Di Aleks Cvetkovic
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Oggi, Hackett è un business mondiale da quasi 9 milioni di sterline e un fiore all’occhiello del gruppo Pepe Jeans. Eppure, tornando al 1983, il quadro era piuttosto differente. “Credo che all’epoca, avviare l’attività fosse una necessità,” mi racconta il fondatore, Jeremy Hackett, comodamente seduto in una morbida poltrona di peluche, nella clubroom dipinta di verde della sede Hackett in Savile Row. “Avevo un’attività insieme a un amico, che però fallì. Volevamo darci da fare, e io vendevo abiti di lusso su misura di seconda mano. È da lì che è nata l’idea di aprire un piccolo negozio a Fulham.”

Jeremy non sapeva allora che quel negozio, al n.83b di New Kings Road in West London, sarebbe stato l’inizio di un impero. “Il direttore della banca ci diede 2.000 £ per aprire il negozio. Ci disse che eravamo spacciati, e quando ci trasferimmo lì era un vero disastro. Le pareti erano così brutte che abbiamo deciso di rivestirle con un tessuto Thomas Mason a righe bianche e blu”, ricorda. 

Ma, contrariamente alle aspettative del direttore di banca, Hackett prese il volo, tanto che Jeremy e il suo team faticavano a rifornirsi di abbastanza abiti sartoriali di seconda mano. Nel giro di pochissimo tempo, l’azienda ha iniziato a disegnare e produrre abiti nuovi ispirati all’intramontabile stile inglese. “Negli anni ‘80, quel negozio era un vero e proprio fenomeno”, prosegue Jeremy. “Entrare da Hackett la domenica mattina era come accedere a un club esclusivo. Eravamo circondati da ragazzi ben vestiti che volevano semplicemente socializzare proprio lì. Il look Hackett ai tempi era come un’uniforme: giacca di tweed, pantaloni di velluto a coste, mocassini in pelle scamosciata. Et voilà, ecco la combinazione che avrebbe avuto più successo”.

Di quei tempi esistono aneddoti divertenti a non finire, sebbene Hackett confessi: “C’è moltissimo di cui non posso parlare”. Uno degli episodi più indimenticabili, che riflette la lunga collaborazione di Hackett con l’esercito britannico, dimostra quanto Hackett fosse importante per i suoi clienti. “La Royal Household Cavalry era solita far esercitare i cavalli al mattino e pattugliava lungo New Kings Road. Un giorno, una truppa si è fermata proprio fuori dal nostro negozio. L’ufficiale in comando scese, entrò e domandò: ‘Sono pronte le mie modifiche?’ Lo erano, quindi ritirò il suo ordine, appese alla sella la borsa con il suo abito Hackett e ripartì con la sua truppa. Avrei voluto una telecamera in quel momento. È stato semplicemente incredibile”.

Naturalmente, l’Hackett di oggi è molto diverso da quel club in West London di un tempo. Attualmente, il brand vanta più di 160 negozi in tutto il mondo e realizza qualsiasi cosa, dall’abbigliamento sportivo ai completi più casual, fino agli abiti da cerimonia. Inoltre, ha collaborato con marchi del calibro di Aston Martin e il campione mondiale di Formula 1, Jenson Button. Certe cose, però, non cambiano mai.

 

“Sin dal primo giorno, Hackett è sempre stato sinonimo di tweed”, continua Jeremy, accarezzando il bavero della sua giacca. “Questo abito racchiude tutti i piccoli dettagli che preferisco della sartoria Hackett”. Basta dare uno sguardo pià da vicino per capire cosa intende. La giacca a un bottone è senza tempo: “Non riesco a sopportare le giacche con due o tre bottoni, tutti chiusi uno sotto l’altro. Uno è più che sufficiente per risolvere il problema”, dice Jeremy. Mentre la toppa sul bavero rappresenta un riferimento all’abitudine di Re Carlo III di rattoppare i suoi vecchi abiti su misura. La giacca con i quattro bottoni sui polsini, con uno spazio tra le due coppie di bottoni, trae ispirazione dall’uniforme delle Coldstream Guards, che aveva proprio questo design.

Ma è il tessuto di tweed in sé a rendere questo abito degno di essere riconosciuto come un’icona. Una texture piacevolmente morbida, a scacchi blu RAF, che è stata realizzata da Fox Brothers & Co. nel Somerset, nella frondosa Inghilterra sud occidentale. Oggi, Fox Brothers è uno dei maggiori produttori di tessuto, ma circa 13 anni fa Jeremy Hackett contribuì a salvare l’azienda dalla chiusura.

“Quando appresi che erano in difficoltà, sapevo che Douglas [Cordaux, l’attuale proprietario] si stava guardando intorno per acquisire e trasformare un brand inglese. Gli suggerii un paio di candidati che potevano essere interessanti e Fox Brothers era uno di questi”, spiega Jeremy. “Andò a vedere e rilevò tutto quanto!”. Il resto, come si dice, è storia.

Probabilmente non sorprenderà sapere che Jeremy è un estimatore di lunga data anche di Thomas Mason. “Abbiamo collaborato con Thomas Mason per più di 30 anni”, aggiunge mentre ci avviciniamo al termine dell’intervista. “Mi piace l’ampiezza dell’offerta e anche il fatto che il tessuto riesca sempre a mantenere quel suo carattere tipicamente britannico. Mi piacciono i vestiti che acquisiscono valore nel tempo senza invecchiare. E i tessuti Thomas Mason sono proprio così”.

 

Fotografie di Tom Griffiths

Video di Matthieu Livingston

 

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