Gli arredi di Brodie Neill vantano una purezza di forma sorprendente, che però, citando Walt Whitman, contiene anche moltitudini. Neill recupera materiali naturali, spesso trascurati, come parquet macchiato di bitume o frammenti di plastica corrosa, e li trasforma in arredi dal design squisitamente pulito, con linee fluide e texture delicate. I suoi lavori sono estremamente rifiniti, ma hanno sempre l’intento di portare a galla le imperfezioni della nostra società puntando il dito contro gli sprechi e l’inquinamento, e di contribuire al bene del pianeta.
Tra i suoi pezzi di maggior successo, il tavolo Re:Coil, minuziosamente realizzato dall’impiallacciatura di “hydrowood” della Tasmania. In pratica, si tratta di antichi alberi sommersi raccolti dal fondo dei bacini idrici. “Se gli alberi rimanessero sott’acqua per sempre, rilascerebbero nell’acqua il carbonio in essi contenuto”, spiega Neill. “Recuperandoli e rivalutandone il legno, per poi utilizzarlo per creare mobili, possiamo trattenere e bloccare il carbonio per una durata illimitata.”
Ancora più impressionante è l’uso che Neill fa di Ocean Terrazzo, un altro materiale da lui ideato. È formato da frammenti di plastica recuperati dalle spiagge della Tasmania, e inseriti in una resina che, una volta lucidata, dà vita a una superficie simile a quella di un caleidoscopio. L’idea gli è venuta nel 2015 e, dopo un anno passato a studiarne lo sviluppo, Neill ha presentato il suo Gyro Table all’inaugurazione della Biennale di Design a Londra, in un’esposizione che ha destato l’attenzione di molti.
Dal suo studio di Haggerston, nella parte orientale di Londra, Neill continua a sperimentare con materiali organici e forme elevate, usando sia tecniche tradizionali che audacemente moderne. Ai cari vecchi bozzetti affianca il lavoro del suo team in studio con CAD e algoritmi digitali per identificare forme, modelli e strutture che l’occhio umano (o il cervello) farebbe fatica a comporre da solo. Come Neill spiega: “Si tratta di mescolare artigianato e tecnologia digitale per ottenere il meglio del meglio da un materiale”.
Dopo aver lavorato nei musei e nelle gallerie di tutto il mondo, inclusi la National Gallery of Victoria, l’AMA Collection di Venezia e il RISD Museum negli Stati Uniti, e vantando collaborazioni con marchi quali Riva 1920, Kundalini, Swaroski, Microsoft, Mercedes-Benz e Alexander McQueen, sembra difficile prevedere quale sarà il prossimo step per Neill. Ma qualunque cosa faccia, possiamo stare pur certi che ci darà da riflettere.
Oggi ci parla della sua passione per la natura, del suo interesse per il design circolare e del perché si dedichi alla creazione di “oggetti di speranza”.
Il mio interesse per il mondo della natura è iniziato già da molto giovane. Sono cresciuto in Tasmania ed è lì che ho appreso come si realizzano i mobili, immerso nella natura selvaggia. Ho iniziato a costruirli quando avevo circa 12 o 13 anni, usando attrezzi che prendevo in prestito dai miei nonni. In quel contesto, il rispetto e la consapevolezza della responsabilità nei confronti dei materiali naturali utilizzati dalla nostra società diventano parte del nostro DNA.
Sono un designer sostenibile, ma è una parola del momento che cerco di evitare. Penso che, in effetti, “circolare” sia un termine migliore. La ragione per cui uso materiali vecchi o riciclati è semplice: se non uso materiale vecchio, l’alternativa è rivolgersi a un commerciante per comprare materiali nuovi, e i costi che ne derivano possono essere molto alti. Quando mi è venuta l’idea di Ocean Terrazzo, mi trovavo su una spiaggia in Tasmania, dove ero solito andare a giocare da bambino: era cosparsa di rifiuti di plastica.
Ho pensato, “questo è un materiale estratto da combustibili fossili, che causa enormi danni e inquinamento, che viene trasportato in tutto il mondo, rifinito, trasformato in un oggetto in plastica, trasportato di nuovo in qualche altro posto, che viene usato per pochi secondi per poi essere buttato.” Sapevo di dover trovare un modo di fare rientrare questi materiali di scarto nel sistema circolare.
Non capisco perché la nostra società tratti la plastica come qualcosa di così sacrificabile. Forse perché è molto economica, o magari perché di solito funge da imballo per altre cose. In ogni caso, è un’idea sbagliata. Cosa rende la plastica diversa dal metallo o dal vetro? Dobbiamo pensare a questi materiali in maniera olistica, ed essere allo stesso tempo anche più consapevoli dell’uso che ne facciamo.
Quando qualcuno entra in contatto con le mie creazioni, desidero che capisca la portata del problema, ma anche che esiste un’alternativa. Prendiamo ad esempio il Gyro Table: ti fa ritrovare faccia a faccia con l’orrore dell’inquinamento di plastica negli oceani.
Il mio lavoro riguarda soprattutto oggetti di speranza. Non sono oggetti di sciagura e angoscia. Certo, portano l’attenzione sui problemi di consumo che dobbiamo affrontare al giorno d’oggi, ma mostrano anche le opportunità che abbiamo per riutilizzare o elevare questi materiali di scarto. Storicamente, la plastica è stata sempre percepita come monouso. Se riuscissimo a cambiare la nostra relazione con essa, allora potremmo essere davvero a un punto di svolta.
Quello di successo è un design che va d’accordo con le persone, sia per quanto riguarda la sua forma sia per qualsiasi tipo di messaggio voglia comunicare. Se una creazione riesce a suscitare un’emozione o a provocare una risposta nel prossimo, quello per me è un gran successo.
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Fotografie di Tom Bunning
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